Il patto di non concorrenza è un accordo che limita l’attività lavorativa di un ex dipendente o collaboratore per un certo periodo, proteggendo il know-how e gli interessi dell’azienda. Deve bilanciare la tutela aziendale con il diritto al lavoro del singolo.
La validità del Patto di non concorrenza
La normativa principale per i lavoratori subordinati è l’Art. 2125 c.c., molto rigida, mentre l’Art. 2596 c.c. si applica a rapporti più generali.
Per essere valido, il patto deve essere:
- Scritto.
- Avere limiti precisi su cosa è vietato, per quanto tempo (max 3 anni per i lavoratori, 5 per i dirigenti) e dove (ambito geografico definito).
- Prevedere un compenso adeguato al sacrificio del lavoratore, non simbolico.
Il patto è nullo se manca uno di questi requisiti, se i limiti sono troppo generici o ampi, o se il datore di lavoro può annullarlo unilateralmente.
La violazione del patto di non concorrenza
In caso di violazione, l’azienda può chiedere il risarcimento danni, far valere una clausola penale (che il giudice può ridurre se eccessiva), o ottenere provvedimenti per bloccare l’attività concorrenziale. Il lavoratore potrebbe anche dover restituire il compenso ricevuto.
Consigli pratici
Consigli pratici: Aziende e lavoratori dovrebbero sempre valutare attentamente la necessità e i termini del patto, personalizzarlo e, soprattutto, consultare esperti legali per garantirne la validità e prevenire controversie.
La consulenza legale specializzata è quindi indispensabile per entrambe le parti. Solo con un’analisi attenta e una stesura qualificata è possibile garantire la correttezza e la validità di questi accordi, evitando problemi legali e assicurando che il patto sia efficace nel rispetto della legge e dei principi
costituzionali.
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